Ieri sera ho tenuto una formazione per un gruppo di educatori che lavorano in una realtà aggregativa per adolescenti. Il focus era sulle relazioni e in particolare su come porsi per mantenere una relazione buona con i ragazzi ora che le attività possono realizzarsi solo da remoto.
La tentazione può essere quella di dire ai ragazzi che tutto sommato sono fortunati: se l’emergenza Covid ci avesse colti 15 anni fa, sarebbe stato molto più difficile, se non impossibile, rimanere in contatto come possiamo invece fare con i mezzi tecnologici di oggi.
Il fatto è che gli adolescenti che si sono ritrovati nel bel mezzo di una pandemia sono quelli di oggi. Non quelli di 15 anni fa, non noi quando eravamo adolescenti. Ma i ragazzi in carne e ossa che abbiano di fronte adesso.
E passare l’adolescenza con relazioni soltanto virtuali, non è proprio uno spasso. Vuol dire perdersi l’esperienza di fare l’animatore in oratorio, mancare la possibilità di incrociare “per caso” sulle scale della scuola quello figo della 4C, saltare la gita di tre giorni all’estero…
E allora, riflettendoci, dire ai ragazzi che “tutto sommato sono fortunati” non sembra più una grande idea. È anzi una grossa bugia, uno sminuire un disagio e una sofferenza che forse spaventano anche noi adulti, perché ci troviamo poveri di strumenti per affrontarla.
Non possiamo garantire ai ragazzi che andrà tutto bene, né chiedere loro di lamentarsi poco e tirare avanti. Possiamo però essere onesti, riconoscendo la loro fatica che è anche la nostra e offrendoci come ascoltatori autentici, disposti a stare accanto ai più giovani nel loro percorso di crescita, in qualunque epoca storica esso stia.