La Festa della Mamma quando la mamma non c’è più. Come si fa?
Questione spinosa che emerge dalla richiesta di consulenza da parte di un team di insegnanti della scuola dell’infanzia: La mamma di Gabri è morta quando lui aveva pochi mesi. Cosa facciamo con il lavoretto per la Festa della Mamma?
Già la domanda in sé mi racconta quanto sia difficile, anche per gli addetti ai lavori, stare con un bambino che ha subito un lutto. La sensazione è quella della paralisi, del congelamento: non facciamo niente finché non abbiamo parlato con la psicologa.
Come se, per parlare della morte, ci fosse bisogno di regole tutte nuove, diverse da quelle “normali” della comunicazione affettiva tra grandi e piccoli.
Non facciamo niente finché non abbiamo parlato con la psicologa. Mica che poi facciamo danni.
C’è, quando si ha a che fare con la morte di una persona cara, questo istinto di protezione dal “trauma” nei confronti dei più piccoli: meno ne parliamo, meno gli farà male. Purtroppo, però, può diventare questo stesso “tentativo di proteggere” ciò che causa danno.
L’idea che il lutto sia qualcosa di troppo grande per essere elaborato da un bambino ci porta a fare quanto di più dannoso possiamo fare in una relazione: fare finta.
Fare finta che la Festa della Mamma non esista, non proponendo affatto il lavoretto alla classe.
Fare finta che Alessia, la nuova compagna del papà, possa sostituire la mamma di Gabri e fare il lavoretto per lei.
Fare finta che la maestra non possa tenere in classe Gabri e mandarlo nella classe dei Rossi, mentre i Gialli fanno il lavoretto per le loro mamme.
Credo che in nessuno di questi casi stiamo proteggendo Gabri: penso invece che stiamo tentando di proteggere noi grandi da qualcosa a cui non riusciamo a pensare perché troppo angosciante e doloroso.
Per poter stare con un bambino e con il suo dolore, l’unica cosa che possiamo fare è essere autentici: dirci che è faticoso per tutti, che spesso anche i grandi sono tristi e non sanno cosa fare. E soprattutto, è importante che i grandi vadano tutti nella stessa direzione. Che tutti siano autentici: le maestre, il papà, i nonni… In questo quadro, allora forse potremmo chiedere a Gabri se ha voglia di fare il lavoretto ed eventualmente se ha voglia di regalarlo a qualcuno.
Recuperiamo dunque le regole che valgono sempre per creare e rendere forte la relazione educativa:
- Dare un nome alle emozioni, accettandole per quelle che sono senza giudicarle e senza cercare di cacciarle via
- Stare insieme, nella ricerca di soluzioni per sentirsi un po’ meglio: accettiamo il fatto che la nostra personale soluzione potrebbe non andare bene per il bambino che abbiamo di fronte, il quale ha invece delle risorse che può usare per trovare, accompagnato da un grande, la sua soluzione
- Non dire bugie, ma solo verità adeguate alla fase di sviluppo del bambino
- Mantenere salda l’alleanza educativa scuola- famiglia, facendo sentire al bambino di essere contenuto nella mente dei grandi intorno a lui, che non si sbriciolano davanti alle emozioni “brutte”.
E chissà che questa non possa diventare l’occasione per parlare con Gabri di come sta, per scoprire che magari dentro di lui ci sono emozioni tutte diverse da quelle che ci eravamo immaginati.